Miyazaki, Howl, e il barocco romano

Amuleti d’oro in camera da letto, mantelli che si trasformano in piume e ossessione per l’estetica. Howl non è un mago, è un principe barocco travestito da stregone. 

Accostare un personaggio di Hayao Miyazaki ad uno dei linguaggi più potenti e divisivi della storia dell’arte può sembrare una mossa azzardata, ma cercherò di dimostrarvi perchè è più palese di quanto sembri. 

Nel ‘600 il barocco diventa la lingua delle corti e della Roma papale, presentandosi come una celebrazione del bello e del gusto per la teatralità quasi eccessiva. Chiese fatte di marmi, ori e volte che sembravano aprirsi verso l’infinito in giochi illusionistici da capogiro. 

A dominare era la volontà di stupire, di far percepire il miracolo divino e, per farlo, si faceva ricorso ai virtuosismi tecnici più spettacolari che l’arte era in grado di offrire. Il tema perfetto per esibire il virtuosismo, ovviamente, era la metamorfosi. 

Basti pensare all’Apollo e Dafne di Gian Lorenzo Bernini: le mani di Dafne che diventano foglie sottili come carta ci mostrano quella la caratteristica principale del barocco stesso: ad essere rappresentata non è la realtà, è la messa in scena – il confine fra reale e fantastico. 

Howl vive dello stesso principio. 

Howl infatti è da subito il personaggio mutevole per eccellenza, fatto di una pluralità di forme, personalità e strati: ali di piume nere, ombre che lo avvolgono, trasformazioni che lo rendono ora angelico, ora demoniaco e un’identità che è sempre costruita e modificata. 

Infatti Howl non solo ha diversi nomi a seconda dei vari luoghi, ma ben presto ci si accorge di come la sua aura da donnaiolo, affascinante e carismatico stregone sia solo una facciata, una maschera d’oro che crepa nel momento in cui si rivela essere quel che è davvero: un codardo. Preso da una perenne ricerca della libertà, in realtà è solo un perenne fuggitivo, che scappa da paure e responsabilità mascherando la sua vera essenza, cambiando nome e aspetto. 

Non solo, Howl è anche ossessionato dalla bellezza, che nel suo caso è ridotta a puro piacere estetico, al quale si aggrappa con tutto sé stesso e arrivando a pronunciare la frase:  “Senza avere la bellezza non c’è alcuna ragione di vivere”, rimarcando quel timore di essere niente senza la sua esteriorità, come se solo in quella dimensione riuscisse davvero a riconoscersi. 

Howl quindi ci mostra un mondo dove l’apparenza non è il contrario della realtà, anzi, è il suo unico linguaggio possibile, l’unico appoggio solido ad un mondo mutevole ed avverso. 

Frame da: Il Castello Errante di Howl, Hayao Miyazaki, Studio Ghibli, 2004

Esattamente lo stesso fa la Santa Sede. 

Il Barocco romano si forma nelle illusioni, nelle estasi dei santi, nei cieli aperti dentro le chiese, in prospettive che ingannano lo sguardo e in colonne che sembrano sorreggere il nulla. Il tutto avviene nell’ossessione di dichiarare potere, di mostrarsi forti ed intangibili, ma, anche in quel caso, la verità era tutt’altra. 

La Chiesa era appena uscita fratturata dalla Controriforma: i protestanti avevano irrimediabilmente scisso l’unità ecclesiastica e la Scienza stava piano piano iniziando ad imporsi sulle credenze e sulle superstizioni. Incalzato da nuove forze che la mettono sotto assedio, allora, il papato scelse di chiudersi in un guscio d’oro, dove la magnificenza era usata come armatura e la teatralità era un tentativo di incantare ancora una volta il mondo. 

Il tema della bellezza usata come maschera in Howl e nel Barocco non si risolve però solo in senso estetico. È un modo per affrontare il mondo barricandosi non dietro la sostanza, ma dietro la finzione. L’ornamento diventa difesa, la metamorfosi linguaggio. In entrambi i casi la bellezza smette di essere un fine e diventa un mezzo per dare forma al desiderio e alla paura, per costruire un’identità che resista al caos esterno, dietro il quale si cela un conflitto troppo grande per essere affrontato. 

Quindi certo, Il Castello Errante di Howl è una favola, ma in fondo lo era anche il barocco, ed è stata l’ultima che la Chiesa abbia provato a raccontarsi.